Corte di Cassazione: accertamento del nesso casuale

“Segnaliamo la recentissima sentenza della Corte di Cassazione, III Sezione penale, n. 4560 del 31/01/2018 in tema di accertamento del nesso casuale con specifico riferimento alla morte come conseguenza della patologia neoplastica (mesotelioma pleurico) causalmente riconducibile all’esposizione, diretta ed indiretta, all’amianto nell’ambito dell’attività lavorativa.

La pronuncia afferma, in particolare, l’irrilevanza, ai fini dell’affermazione della responsabilità dei soggetti titolari di posizioni di garanzia nell’ambito della direzione e gestione aziendale succedutisi nel tempo, dell’individuazione del momento in cui la patologia diviene irreversibile e dunque della determinazione della durata del periodo d’induzione e di latenza ai fini dell’accertamento del contributo casuale dei singoli imputati.

La pronuncia è di rilevante importanza in quanto si discosta dal più recente orientamento di alcuni giudici di merito e, richiamando l’indirizzo maggioritario della giurisprudenza della Suprema Corte, condivide la logicità del ragionamento svolto dai Giudici di merito secondo il quale, dovendosi pacificamente considerare che il mesotelioma pleurico – così come altre patologie asbesto correlate – è un’affezione “dose-dipendente” e che il periodo d’induzione è destinato a protrarsi per decenni, mentre il periodo di latenza può essere compreso nell’ordine di 10-15 anni, non essendovi evidenza scientifica del fatto che la malattia, una volta insorta, rimanga latente per circa trent’anni, risultano prive di rilevanza causale le esposizioni verificatesi nell’arco di tempo di 10 anni precedenti alla manifestazione clinica della malattia, mentre sono causalmente rilevanti le esposizioni precedenti tale periodo, risalenti anche a trent’anni e oltre, sul presupposto che fino alla conclusione della fase d’induzione, non può considerarsi ininfluente o irrilevante qualunque esposizione, quantomeno quelle avvenute prima dei dieci anni precedenti alla manifestazione dei sintomi.

I giudici di legittimità osservano che il superamento, sulla scorta della letteratura scientifica ormai consolidata, delle teoria della “dose-killer” comporta, sul piano logico, l’adesione all’ipotesi scientifica, avente fondamento epidemiologico, secondo cui l’aumento dell’esposizione produce effetti nel periodo d’induzione e di latenza.

Di conseguenza, la Corte di Cassazione afferma l’irrilevanza della precisa determinazione dell’inizio del periodo di latenza (ovvero l’innesco irreversibile della patologia neoplastica) ai fini dell’affermazione della responsabilità dei soggetti che nel corso degli anni si avvicendarono nelle posizioni di garanzia – quali quelle apicali, dirigenziali e gestionali – poiché, sulla scorta della disciplina normativa dell’art. 41 c.p. “…vi è una sostanziale equiparazione, tra tutti i fattori causali, preesistenti, concomitanti e successivi; sicché la presenza di un determinato fattore esclude gli altri soltanto quando sia “sopravvenuto” e “da solo sufficiente a determinare l’evento”. Tale condizione… ricorre in presenza di un processo causale del tutto autonomo o caratterizzato da un percorso causale non completamente avulso dall’antecedente, ma caratterizzato da un percorso casuale atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili e a seguito della causa presupposta…Ed è evidente che, nel caso di specie, essendosi in presenza di un fattore causale (l’esposizione a amianto) riferibile ad un medesimo insediamento produttivo, operante in maniera continuativa per diversi decenni, deve escludersi che i periodi di esposizione della sostanza successivi al primo – periodi convenzionalmente frazionati al fine di poterli riferire, secondo le regole della responsabilità penale, ai singoli dirigenti, ma in realtà riconducibili ad un contesto chiaramente unitario – possano essere ricondotti nell’ambito dei menzionati fattori di interruzione del nesso casuale.”

Avv. Ludovico Berti

SENTENZA ENEL Chivasso CASS. Pen. III n 4560-2018