Supplemento d’indagine sul nesso causale tra morte del dipendente e malattie professionali
Malattie professionali – La sentenza della cassazione
Nel caso di un lavoratore morto di tumore, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche “teoricamente possibili”, ma necessita di concrete e specifiche dimostrazioni. La prova della causa di lavoro grava sul lavoratore, ma proprio per questo il giudice è tenuto a valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso ad ogni iniziativa diretta ad acquisire ulteriori elementi relativi all’entità dell’esposizione del lavoratore a fattori di rischio quali: tipologia della lavorazione; caratteristiche dei macchinari; durata della prestazione.
Per questo motivo la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte di appello di Venezia che – avallando la decisione del Tribunale di Treviso – aveva rigettato la richiesta di indennità avanzata dai familiari del dipendente di un’azienda petrolchimica, morto di tumore alla laringe.
“Nessun nesso causale tra malattia e attività lavorativa”, così avevano stabilito i giudici della Corte territoriale sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado, ritenuta corretta ed esaustiva. Piuttosto le toghe avevano considerato più attendibile l’ipotesi che intravedeva nel compulsivo tabagismo dell’uomo (15/20 sigarette al giorno per vent’anni) la causa della malattia.
La Cassazione ribalta tale decisione riconoscendo il diritto di indennità ai familiari dell’uomo: secondo i giudici, infatti, il nesso di causalità tra attività lavorativa e malattia non è stato adeguatamente valutato.
Idrocarburi policiclici aromatici, amianto, benzene, piridina, ossalato di ammonio: la sentenza 5704 depositata il 7 marzo elenca nel dettaglio le sostanze presenti nel luogo in cui lavorava il dipendente, “senza tuttavia specificare – stigmatizzano i giudici di Cassazione – perché tali fattori di rischio non abbiano avuto alcuna incidenza, neppure concausale, nel determinismo della malattia”.
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